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È proprio vero che la malattia e la sofferenza sono sempre conseguenza del peccato?

Adi Reggio Calabria
Pubblicato da in - Investigate le Scritture · 12 Dicembre 2016
Tags: PeccatoSofferenzaPrevenzione
Se intendiamo per “peccato” la caduta dei nostri progenitori, i quali si ribellarono al Creatore e, di conseguenza, fu introdotta nel mondo la corruzione e la morte, allora ogni tipo di infermità e sofferenza che colpiscono il nostro organismo sono certamente conseguenza di quella caduta. In questo senso “… fino ad ora tutta la creazione geme insieme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, anche noi stessi gemiamo in noi medesimi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo” (Romani 8:22, 23).
 
Questo testo biblico esprime con chiarezza la realtà della nostra vita terrena, le sue debolezze e limitazioni. L’apostolo Paolo non soltanto sottolinea il fatto che i credenti in Cristo partecipano con tutta la creazione a questo “travaglio”, ma precisa: “… anche noi stessi gemiamo in noi medesimi…” per indicare che la sofferenza fisica e morale è parte integrante della nostra eredità in Adamo. Questa condizione generale non esclude alcun essere umano, neanche coloro che hanno “… le primizie dello Spirito…” Questo che sembra un riferimento implicito all’esperienza della Pentecoste, festa delle primizie, ci ricorda che anche coloro i quali hanno fatto una profonda esperienza con Gesù Cristo e sono controllati dallo Spirito di Dio non sono esenti dalle sofferenze fisiche e morali. Le malattie e la sofferenza saranno un pericolo anche per i credenti più arresi a Dio, fino a quando questo corruttibile non avrà rivestito incorruttibilità, e questo mortale non avrà rivestito immortalità; soltanto allora sarà adempiuta la parola che è scritta: “… La morte è stata sommersa nella vittoria. O morte, dov’è la tua vittoria? O morte, dov’è il tuo dardo?” (I Corinzi 15:54, 55).
 
 
UN ECCESSO DA EVITARE
 
Talvolta, si incontrano credenti i quali, arbitrariamente, sì permettono di giudicare i loro confratelli, affermando che la malattia e la sofferenza fisica sono diretta conseguenza di un peccato commesso.
 
Questa posizione estremistica non può essere assolutamente accettata alla luce di tutto l’insegnamento della Sacra Scrittura. Uno dei tanti testi afferma: “... perché giudichi il tuo fratello? E anche tu perché disprezzi il tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio… Così dunque ciascun di noi renderà conto dì se stesso a Dio” (Romani 14:10,12). Ogni credente è stato chiamato da Dio ad edificare il proprio fratello e non ad avvilirlo: “… voi, che siete spirituali” incoraggiate il vostro fratello “con spirito di mansuetudine … Portate i pesi gli uni degli altri, e così adempirete la legge di Cristo… Ciascuno esamini invece l’opera propria …” (Galati 6:1,2,4). L’insegnamento della Parola di Dio è, quindi, quello di incoraggiare e non di avvilire. La guarigione divina è parte integrante dell’annuncio di “Tutto l’Evangelo”, ed è uno dei privilegi di tutti coloro che ripongono la propria fiducia sull’opera perfetta di Cristo al Golgota.
 
 
UN INCORAGGIAMENTO
 
L’argomento della liberazione dalla malattia e dalla sofferenza è importante e fondamentale per la dottrina cristiana. Dio si rivela già nell’Antico Testamento come: “… io sono l’Eterno che ti guarisco” (Esodo 15:26). Questa guarigione che viene da Dio esprime la Sua abilità dì Creatore e Redentore. Yahwèh, l’Eterno, l’Iddio Redentore, ristabilisce l’ordine nell’individuo che pone tutta la propria fiducia in Lui. Questa guarigione, o liberazione, riguarda tutto l’essere dell’uomo, quindi si può asserire con certezza che Dio guarisce da ogni infermità spirituale, morale e fisica. Con la Sua venuta Gesù rivelò perfettamente e totalmente il Padre e, durante il Suo ministerio terreno, andò “… attorno facendo del bene, e guarendo tutti coloro che erano sotto il dominio del diavolo ...” (Atti 10:38). Circa settecento anni prima della venuta di Cristo, il profeta affermava: “… eran le nostre malattie ch’egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui s’era caricato …” (Isaia 53:4). L’apostolo Pietro, ispirato dallo Spirito Santo, affermava: “[Cristo, N.d.A.] ha portato egli stesso i nostri peccati nel suo corpo, sul legno, affinché, morti al peccato, vivessimo per la giustizia, e mediante le cui lividure siete stati sanati” (I Pietro 2:24). Tutti questi passi biblici danno l’assicurazione che Dio non soltanto è potente e guarisce, ma vuole guarire quanti per fede vanno a Lui per mezzo di Gesù Cristo. L’opera che il Divino Redentore ha compiuto sulla croce del Calvario include non soltanto la liberazione dal peccato, ma anche la guarigione dalla malattia.
 
ALLORA, PERCHÉ LA MALATTIA
 
Qualcuno obietterà, perché allora molti cristiani soffrono di malattie fisiche? Le ragioni possono essere molteplici e ciascuno dovrebbe fare un auto esame davanti a Dio per conoscerne la causa.
 
Nessun altro, all’infuori di noi stessi, può saperne di più, tuttavia la Sacra Scrittura ci rivela che esistono almeno tre ragioni perché Dio permette la sofferenza fisica e la malattia. Un testo biblico molto noto, e che spesso evitiamo, afferma: “E’ a scopo di disciplina che avete a sopportar queste cose. Iddio vi tratta come figliuoli; poiché qual é il figliuolo che il padre non corregga? Che se siete senza quella disciplina dalla quale tutti hanno avuto la loro parte, siete dunque bastardi, e non figliuoli” (Ebrei 12:7, 8). Iddio permette difficoltà, sofferenza e malattia ai Suoi figliuoli, cioè a quanti sono stati redenti per l’opera di Cristo, per richiamare la loro attenzione su certe posizioni e condizioni della loro vita spirituale. E’ giusto e logico che Dio ci tratti da figliuoli e ci riprenda, usando il metodo che Egli crede migliore: “… non ci sottoporremo noi … al Padre degli spiriti per aver vita?” (Ebrei 12:9).
 
LA SOFFERENZA COME CONSEGUENZA DEL PECCATO COMMESSO
 
Nella Bibbia vengono riportati molti casi di credenti i quali, non rendendosi conto dei peccati commessi, sono stati richiamati da Dio in modo autorevole con questo mezzo. Il peccato corrompe lo spirito e l’anima e produce delle conseguenze inevitabili sull’organismo umano. Basta guardarci attorno e considerare le grandi piaghe sociali e sanitarie prodotte dall’alcoolismo, dal fumo, dalla droga, per rendersi conto del tremendo squilibro e delle conseguenze morali e fisiche del peccato nelle sue forme più varie.
 
Tra i tanti casi ricordati dalla Scrittura, il più clamoroso è quello di Davide con il suo duplice peccato: adulterio e omicidio. Egli è accecato dalla passione, non si rende conto del grave misfatto commesso, ma Dio lo richiama, egli si pente, si ravvede, ma deve subire delle tristi conseguenze come la morte del bimbo frutto dell’unione illecita, gravissimi disordini di immoralità nell’ambito della propria famiglia, la ribellione ed il colpo di stato di Absalom, suo figlio. Questi eventi luttuosi furono le conseguenze funeste del suo peccato ed egli le accettò come gli effetti naturali della sua infedeltà.
 
LA SOFFERENZA PER RIVELARE I PECCATI OCCULTI
 
Proprio Davide affermava: “Chi conosce i suoi errori? Purificami da quelli che mi sono occulti” (Salmo 19:12). Dio soltanto può rivelarceli, usando metodi e mezzi diversi e, tra questi, quello della sofferenza.
 
Il caso più noto è quello del patriarca Giobbe, uomo integro, il quale subì atroci sofferenze dal punto di vista morale e fisico. Il lettore superficiale di questo libro, il più antico della Bibbia, ritiene che Dio abbia permesso a Satana di colpire Giobbe per provare la sua fedeltà verso l’Eterno. A parte il fatto che sarebbe tremendo pensare che Dio permetta all’avversario di divertirsi con i credenti come i bambini fanno con giocattoli, occorre ricordare che, se così fosse, il Creatore e Signore dell’Universo non potrebbe essere riconosciuto per quello che veramente è: “… Dio è amore …” (I Giovanni 4:16). Inoltre, se Egli avesse avuto bisogno di mettere alla prova la fedeltà di Giobbe, dovrebbe mettere alla prova nello stesso modo la fedeltà di tutti quelli che Lo seguono, ma vorrebbe dire che non riconosciamo la Sua onniscienza. Egli ci conosceva ancor prima della nostra nascita. Allora, perché Dio permise questa prova? Per disciplina; Giobbe era timorato di Dio ed integro, ma purtroppo non si rendeva conto che era orgoglioso della propria giustizia e della propria rettitudine. Soltanto le atroci sofferenze subite e il suo totale avvilimento fanno emergere questo “peccato occulto”. Basta leggere il capitolo 29 del libro di Giobbe e sottolineare tutti gli “io” e i “mio” per scoprire questa sua attitudine nascosta, della quale neanche egli stesso se ne rendeva conto. Soltanto dopo, quando Dio gli risponderà, allora, potrà confessare: “Il mio orecchio avea sentito parlar di te ma ora l’occhio mio t’ha veduto. Perciò mi ritratto, mi pento sulla polvere e sulla cenere” (Giobbe 42:5, 6).
 
LA SOFFERENZA PER PREVENIRE IL PECCATO
 
È incomprensibile che uomini potentemente usati da Dio, come l’apostolo Paolo, possano essere stati soggetti a malattie e sofferenze.
 
Nel Nuovo Testamento abbiamo servitori di Dio deboli nel corpo e malati, come Trofimo, stretto collaboratore di Paolo, “… lasciato infermo a Mileto” ( Il Timoteo 4:20), o come il notissimo caso di Timoteo, al quale l’apostolo consigliò di prendere cura del suo stomaco e delle sue “… frequenti infermità” (I Timoteo 5:23). Nel caso di Paolo, il quale pregò per essere liberato dalla “… scheggia nella carne …”, che era certamente un’infermità fisica, forse una gravissima malattia agli occhi, il Signore ne rivelò la ragione. Ma lasciamo che l’apostolo ci narri la propria esperienza: “… perché io non avessi ad insuperbire a motivo della eccellenza delle rivelazioni, m’è stata messa una scheggia nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi ond’io non insuperbisca. Tre volte ho pregato il Signore perché l’allontanasse da me; ed egli mi ha detto: La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza” (II Corinzi 12:7-9). Lo scopo della sofferenza per Paolo era quello di prevenire la superbia. Egli doveva porre la propria fiducia quotidianamente nel Signore e nella Sua grazia per adempiere il ministerio che Dio gli aveva affidato. In questo caso la sofferenza e la malattia avevano un “ministerio” ben specifico, quello di evitare che l’apostolo potesse insuperbire e, quindi, perdere il premio che il Signore dona a tutti quelli che Lo seguono con umiltà, sincerità e fedeltà. Possano queste poche considerazioni aiutarci a porre la totale fiducia nel Signore che ha promesso di guarire, ma possano anche liberarci da persone che ritenendosi superiori e “spirituali” scoraggiano i credenti malati con le loro deduzioni umane ed i loro assurdi giudizi. Ognuno esamini sé stesso alla luce della Parola di Dio e permetta allo Spirito Santo di rivelare “noi a noi stessi”.
 
 
Tratto da “A domanda risponde”, Francesco Toppi – edito da ADI-MEDIA



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