Mio padre è nativo di Sant’Agata di Bianco (RC) e poi si è sposato a Ferruzzano.
Voglio cercare di raccontare la storia di mio padre, usato da Dio miracolosamente per andare in quel paese.
Ferruzzano è un paesello della provincia di Reggio Calabria, situato sulla cima di una montagna, con un panorama quasi fiabesco.
Anche a Ferruzzano la storia dell’Evangelo incomincia lo stesso: “Arriva l’Evangelo”. L’anno, mi sfugge di mente. Ma questo non è tanto importante. Ma la storia è andata più o meno così:
Un giorno mentre un gruppo di amici, “i mastri” del paese, cioè, “u scarparu” (il calzolaio), “u muraturi” (il muratore), “u ferraru” (il fabbro), “u custureri” (il sarto) e “u falegnami” (mio padre), si trovano come al solito dal calzolaio per le solite chiacchiere e barzellette.
Arriva uno sconosciuto (se ricordo bene, era un certo F. Costa) e si ferma sulla soglia della porta e li saluta: «Pace del Signore!». Uno strano saluto, mai sentito prima. Tutti sorpresi da quest’uomo con un sorriso e che sembra conoscerli, gli chiedono: «Ma vui cu siti?» («Ma voi chi siete?»). Lui si presenta dicendo il suo nome e aggiunge: «Il Signore mi ha mandato in questo paese per parlarvi dell’Evangelo della salvezza». Mio padre ridendo gli risponde: «E pecchì? Chi ssimu perduti?» («E perché? Siamo perduti?»). Quest’uomo comincia a parlare del Signore mentre loro lo prendono quasi in giro, dicendo: «Ritornati da undi venistavu» («Ritornate da dove siete venuto»).
Ma lui, con tutta calma e amore, chiede loro se c’è qualcuno che può affittargli una stanza. Per cacciarselo dai piedi, lo mandarono da una famiglia. Ma, prima di andarsene, si rivolse verso il calzolaio (mastru Antoni) e a mio padre, dicendo: «Voglio che voi sappiate che Iddio mi ha mandato qui e che, per un anno da oggi, nessuno crederà all’Evangelo. Ma, a questa data, l’anno prossimo inizierà una chiesa evangelica e voi due, dopo poco tempo, sarete salvati».
Quest’uomo rimane a Ferruzzano esattamente un anno e il Signore non gli fa mancare nulla, né vestiti né cibo, anche se lui non ha soldi. La gente del paese (cattolica) gli porta, quando uno quando un altro, tre volte al giorno il pranzo. Mio padre mi raccontava che lui prendeva il primo che arrivava e che rifiutava, anche se gli altri insistevano, a prendersi il cibo per più tardi o per il giorno dopo. Diceva che il Signore provvedeva giornalmente.
Miracolosamente la prima famiglia accetta l’Evangelo proprio la notte della fine dell’anno, come aveva detto lui. E così, nella casa di quella famiglia iniziano i culti.
Altre persone ogni settimana si aggiungono al gruppo chiamato “i protestanti”.
Il prete comincia a dire di fare attenzione perché quei protestanti hanno una “polvere”. Questa, gettata sulle persone, li fa diventare protestanti. Vengono così mandati dei bambini a tirare delle pietre contro le finestre, quando si riuniscono per il culto. La gente li beffa e li evita per paura di quella “polvere”.
Mio padre, essendo un cattolico fanatico, non parla più nemmeno col suo migliore amico, perché si è convertito all’Evangelo.
Un giorno, alla solita riunione dei “mastri”, mastru Antoni dice a mio padre: «Facimu attenzioni mastru Umbertu, ca chiddu ndi dissi ca puru nui ndi facimu vangialista!» («Facciamo attenzione mastro Umberto, perché quello ci ha detto che pure noi diventeremo evangelici!»).
E, infatti, dopo poco tempo, mastru Antoni accetta l’Evangelo e frequenta le riunioni.
Mio padre, sentendo le belle cose che quel predicatore racconta di Dio e di Gesù, si mette in testa di voler vedere con i suoi occhi quel che c’è scritto in quella Bibbia protestante. Un giorno chiede alla vicina di casa, “la sorella Rosa”, di prestargli la Bibbia. Lei, con tanta paura che lui gliela strappa, gliela presta. Leggendo qua e là in quelle pagine, si convince che (come dice anche il prete) quella Bibbia non è la vera. Volendo andare più a fondo nelle sue convinzioni, con l’aiuto del sagrestano, suo caro amico, prende di nascosto (ruba) la Bibbia della sagrestia e passa tutta la notte seduto sul letto a sfogliare le pagine costatando che il contenuto è lo stesso di quella protestante. All’alba, torna in chiesa e la rimette al suo posto, affinché il prete non se ne accorga. Da quel giorno in poi chiede spesso la Bibbia alla sorella Rosa. Un giorno però, arrabbiato perché non riesce a capire molto, gliela restituisce gettandola in casa dal nostro balcone. La sorella la raccoglie con tanto amore, come se è una figlia che è caduta. Passano un paio di giorni e papà le richiede di nuovo la Bibbia. Ricordo che lei gli disse: «Mastro Umberto, la Bibbia non ve la darò più perché voi me la strappate ed è molto difficile trovarne un’altra» (perché in quel tempo la Bibbia era proibita). Mio padre si scusa di avergliela gettata dal balcone e le assicura di non farlo più. Prende così la Bibbia e continua a leggerla ogni sera, scoprendo tante cose mai sentite nelle prediche del compare prete.
La solita partita a carte col compare prete.
Solitamente, ogni sabato sera, papà andava dal prete per la serata di carte. Questo specifico sabato però succede qualcosa che da un significato importante a mio padre. Si era fatto tardi e papà gli dice: «Sarà meglio che ci fermiamo e che me ne vado perché si è fatto tardi e dovete ancora preparare la predica per domani mattina!». Il prete gli risponde: «Giocate! Giocate! Perché domani con quattro stupidate che gli racconto in latino a quei quattro ignoranti, che volete che capiscano!».
Quella sera papà arriva a casa con una faccia lunga e triste. La mamma gli chiede dove è stato e lui risponde: «Come al solito, dal compare prete!». La mamma chiede insistentemente del perché di quella faccia, cos’è accaduto, ecc. … Infine le dice: «Il compare prete mi ha trattato da ignorante!». E la mamma risponde: «Vuol dire che gli hai fatto qualcosa!». E papà gli racconta come sono andate le cose, dicendo: «Anch’io sono un ignorante perché sono tutte le domeniche in chiesa!». E aggiunge: «Credo veramente che questi protestanti hanno ragione! … Guarda nu pocu a massaru Cicciu, hiastimava comu nu dannato e ora non hiastima chiù» (Guarda un poco a massaro Francesco, bestemmiava come un dannato e adesso non bestemmia più»).
La decisione di assistere a un culto.
Questi evangelici avevano una riunione il mercoledì sera e mio padre domanda a mio zio Giuseppe (che si era convertito da poco) di voler andare in chiesa con lui. Mio zio, che sa molto bene che mio padre maltratta questa gente e li considera ignoranti, fanatici e traditori della religione dei padri, gli dice: «Io non posso dirvi di non venire, solo vi chiedo per favore di non venire per disturbare. Se non vi piace, alzatevi e uscite con rispetto!». Avendoglielo promesso, si avviano verso la chiesa. Entrando in chiesa, tutti si voltano e, vedendo mio padre, provano un po’ di paura e si chiedono perché è venuto.
Inizia il culto.
Si canta, si prega, poi c’è un tempo per le testimonianze, dove a turno ognuno racconta come il Signore l’ha salvato e benedetto. A un tratto si alza mio padre, e mio zio, pensando al peggio, lo tira per la giacca, facendogli segno di sedersi. La gente si volta e lo guarda con una certa paura. Mio padre incomincia a parlare con lacrime chiedendo perdono a Dio e a loro per come li aveva trattati. Nella congregazione c’è uno scambio di parole e ognuno ringrazia Dio esclamando: «Gloria a Dio! Alleluia!». C’è una gioia immensa in quella fratellanza perché questo è un miracolo, perché solo Iddio ha potuto cambiare “mastru Umberto”. Tutti lo abbracciano con lacrime di gioia e mastru Antoni lo abbraccia e gli ricorda: «Ce l’aveva detto quell’uomo! Vi ricordate?».
Il compare prete si ribella.
Tutto il paese non accetta il cambiamento di mastro Umberto. Il prete si ribella mettendogli tutti i suoi amici contro. Cercano in ogni modo di fargli capire che qualcuno gli ha gettato quella famosa polvere per fargli cambiare religione. Nulla da fare! Mio padre è convinto di aver trovato la verità. Allora il prete tenta l’ultimo gioco cercando di mettere mia madre contro di lui e suggerendole di chiudere la porta a chiave quando lui va al culto e di non lasciarlo entrare.
A questo punto, mia madre gli dice: «Caro compare, per quanto sia contraria a questo cambiamento, questo non lo farò mai, perché mio marito è stato sempre un buon marito e un buon padre, e lo è tuttora. Cercate di convincerlo voi!».
Molti non lo salutano più e non vanno alla sua bottega. La solita riunione dei “mastri” adesso era solo “mastr’Umbertu e mastru Antoni”. Tutti gli sforzi non servono a nulla, tanto che, dopo poco tempo, si converte mia madre.
Papà scompare per due settimane.
Era solito che papà andava a trovare il nonno a Sant’Agata, il suo paese nativo che si trova sulla montagna di fronte a Ferruzzano (circa un’ora e mezzo di cammino). Si deve scendere per la valle e attraversare la “fiumara la Verde” e poi risalire la montagna.
Papà partiva sempre presto il mattino e ritornava la sera. Non era mai rimasto a dormire lì.
Questa volta invece non ritorna, tanto che ricordo mia madre preoccupata non sapendo per quale motivo non ritornava. E, poiché non ci sono mezzi di comunicazione, si deve aspettare per il domani. Ma il giorno dopo non ritorna … e nemmeno i giorni seguenti.
Allora c’è grande preoccupazione per questo. Ricordo che quel periodo era subito dopo la fine della guerra e che c’era molta gente cattiva in giro che rubava e, certe volte, ammazzava qualcuno pur di derubarlo. Così si è pensato che fosse successo qualcosa del genere.
I miei due zii si mettono in cammino per il bosco, per la valle e, non trovando nessun segno di mio padre, continuano fino a Sant’Agata dal nonno e scoprono che papà non è andato da lui.
Per due, tre settimane (non ricordo bene) papà non ritorna, tanto che a questo punto mia madre pensa di doversi vestire a lutto perché pensa che suo marito, imbattendosi con qualche bandito, sia stato ucciso.
Il ritorno di papà.
Una sera tardi, già buio, sentiamo in lontananza cantare un cantico. Le voci si avvicinano verso casa nostra. La mamma esce fuori con la “lumera” (un tipo di lume) e a un tratto vede il gruppo che canta avvicinandosi verso casa e, con grande sorpresa, c’è anche papà. Tutta la famiglia e anche i vicini di casa accorrono a casa nostra, curiosi di sapere cos’è successo a mastro Umberto.
Mamma tutta contenta prepara una cena per tutti. Scopriamo così che quei suoi amici sono di un paesello chiamato “Africo”.
Papà ci racconta: «Sono partito per andare a visitare mio padre a Sant’Agata ma, una volta arrivato giù al fiume, ho sentito una strana forza che m’impediva di traversare l’acqua, spingendomi verso la mia sinistra. Ma, alla mia sinistra, c’erano solo montagne, e così ho continuato a forzarmi di andare avanti. Alla fine, ho dovuto cedere a questa forza e dirigermi verso quei monti. Ho salito il primo monte “Scapperruni”. Da quella cima, guardando indietro, vedevo Ferruzzano, Sant’Agata, Bruzzano, ma davanti a me non c’erano che montagne. Allora ho detto: “Signore, dove mi stai mandando?”. Volevo ritornare a casa, ma ho dovuto continuare avanti salendo e scendendo da monte a monte riposandomi ogni tanto per la stanchezza. Il sole stava per tramontare ed io mi trovavo sulla cima di un monte, dove mi ha assalito la paura di dover passare la notte lì con il rischio di essere attaccato dai tanti lupi che sono nelle montagne della Calabria. Mi sono inginocchiato e ho pregato».
Una voce di donna.
Sente una voce, smette di pregare e si trova davanti ad una donna con la “quartara” in testa e un bambino (la quartara è un vaso di terracotta per trasportare l’acqua). A questo punto capisce subito perché si trova là. Aveva visto questa donna in una visione in preghiera ma, essendo nuovo nella fede, non ci aveva dato troppa importanza, perché non pensava che potesse essere un messaggio da parte del Signore.
Tutto contento chiede alla donna dove si trova e lei gli dice che, salendo la collina, si troverà ad “Africo”.
Qualcuno aspetta il suo arrivo.
È già buio quando bussa alla prima casa e un uomo apre la porta con un lume in una mano e un fucile nell’altra. Chiede subito scusa dicendo di aver bisogno solo di un’informazione, quando si sente dire: «Ma vui siti mastr’Umberto? (Ma voi siete mastro Umberto?) Entrate! Entrate!». Subito si domanda: «Come mai questo mi conosce se io non sono mai stato in questo paese?».
L’uomo dice di conoscerlo perché è venuto a Ferruzzano per vendere noci e castagne e che, passando davanti alla sua bottega, l’ha sentito parlare di Dio con degli amici. Dal suo ritorno ad Africo, ha sempre sperato che un giorno qualcuno potesse venire a parlare di questo Signore che cambia le persone.
Così cominciano a parlare del Signore, mentre sua moglie gli prepara qualcosa da mangiare e un materasso di paglia per dormire.
Il mattino inizia a parlare di Dio per le strade e nelle campagne a quella gente, di cui la maggioranza illetterata. L’uomo che l’ha ricevuto, ha una stalla. Una volta pulita, sono iniziati i culti lì. Per i primi giorni la gente viene solo per curiosità, ma poi rimane perché affamata di conoscere le cose del Signore, tanto che si forma un bel gruppo di credenti. Per la prima volta si accende una speranza nei cuori di questa gente dell’Aspromonte.
Il prete si ribella.
Il prete incomincia a trattarlo da “ignorante falegname che non sa quel che dice”. Lui però continua a predicare l’Evangelo e a insegnare i cantici, tanto che anche i bambini dell’asilo, quando passa, cominciano a cantare: “Io sono un agnellino, Gesù è il mio pastor”, ricevendo perciò le sgridate dalle suore.
Ogni sera si tiene un culto, in cui viene anche il brigadiere ad ascoltare. Ogni giorno si assiste al miracolo del cambiamento nella vita di qualcuno: gente che si ubriacava, che si bisticciava anche al punto di arrivare al coltello, gente che rubava, che bestemmiava … adesso partecipa al culto totalmente cambiata.
Quando cammina per le strade, tutti lo salutano con: «Pace del Signore». Il prete si ribella sempre di più e chiede al brigadiere di fare qualcosa per mandarlo via. Scopre che gli ha risposto: «Caro reverendo, quest’uomo non ha fatto nulla di male per cacciarlo via. Anzi, da quando è arrivato questo che voi chiamate “ignorante falegname”, io e i miei carabinieri possiamo dormire la notte e questo paese sta ricevendo un miracolo».
La statua di San Leo nel mezzo della chiesa.
San Leo era il protettore di Africo. Il prete decide di creare un miracolo con quel Santo. Una sera tardi, quando è già buio, le campane della chiesa iniziano a suonare interrottamente. In questi piccoli paesi, quando suonavano le campane a lungo, significava che qualcosa di molto urgente era accaduto. E così, tutta la gente corre verso la chiesa chiedendosi cos’è successo. Arrivano anche il brigadiere e mio padre. Il prete apre le porte della chiesa e grida: «Miracolo! Miracolo! San Leo è uscito dalla nicchia e si trova nel mezzo della chiesa». Comincia un delirio di gente che si batte il petto e s’inginocchia per terra adorando San Leo. Le campane continuano a suonare.
Allora il brigadiere chiede a mio padre cosa ne pensa di questo fatto. Papà gli risponde: «Brigadiere, quello è solo un tronco di albero d’ulivo scolpito nell’immagine di un Santo e la Bibbia parla chiaramente contro queste sculture». E il brigadiere però domanda: «E le campane che suonano da sole?». Papà gli suggerisce che ci sarà qualcuno sul tetto che tira la cordicella.
Un carabiniere sale sul tetto ma in quella notte oscura non trova nessuno. Mio padre allora comincia a rassicurare i credenti, sostenendo che si tratta di un gioco del prete e lo sfida dicendogli: «Reverendo, se San Leo è uscito dalla nicchia da solo, allora gli chieda di completare il miracolo rientrandoci da solo». Poi suggerisce al brigadiere di mettere una sentinella davanti alla porta fino al mattino per assicurarsi che nessuno entri o esca dalla chiesa. Il prete inizia a ribellarsi ingiuriando mio padre, ma il brigadiere (di certo convinto anche lui di un falso miracolo) manda tutti a casa, mettendo due carabinieri davanti alla porta, come suggerito da papà.
Tardi nella notte i carabinieri sentono un rumore. Qualcuno scivola giù dal tetto: è un ragazzino che scende e viene bloccato dai carabinieri. Mettendosi a piangere, confessa: «È statu u previti chi mi dissi mi sonu i campani e no mmi scindu, ma ora ndavia paura» («È stato il prete che mi ha detto di suonare le campane e di non scendere, ma ora ho avuto paura»).
E così, il mattino seguente San Leo è rimesso nella nicchia e molti si convertono all’Evangelo. Da quel momento in poi, il prete perde il controllo del dominio religioso.
Un latitante cercato da anni dà il suo cuore a Gesù.
Mio padre resta con noi una settimana e poi ritorna di nuovo ad Africo. La chiesa cresce e il paese trova sempre più pace. Molti che prima rubavano, si ubriacavano e si litigavano, adesso si convertono all’Evangelo, frequentano la chiesa e vivono in pace.
Si converte anche la moglie di un latitante ricercato da tanto tempo dalla legge. La donna va di nascosto a trovarlo, gli parla di questa nuova religione e vuole assolutamente fargli incontrare mio padre. Lui però non si fida, perché pensa che mio padre sia uno “sbirro” (carabiniere). Infine un giorno, grazie all’insistenza della moglie, il latitante accetta di incontrarlo, ma a una condizione: «Devi fare molta attenzione affinché nessuno vi segua. Se vedrò altre persone che vi seguono, ho due cartucce: una per te e una per lui».
Mio padre allora parla con il brigadiere raccontandogli tutto e chiedendogli se può avere la sua parola d’onore di non essere seguiti. Il brigadiere non solo assicura a mio padre di non farli seguire, ma gli dice: «Ditegli a nome mio che, se lui viene al culto, io non lo faccio arrestare e che, se vuole rifugiarsi di nuovo, faccio conto che non l’ho mai visto». Il brigadiere ha fiducia in un miracolo di Dio per quell’uomo.
Perciò, mio padre e la moglie del latitante partono prima dell’alba assicurandosi di non essere seguiti. Dopo tanto cammino su quelle montagne, lo incontra. Gli parla del Signore e dei suoi amici che frequentano i culti e sono in pace con tutti e anche con la legge. Gli riferisce della promessa del brigadiere di non farlo arrestare, dicendogli di avere molta fiducia nel brigadiere e in Dio che si prenderà cura di tutto.
Lui non gli promette nulla perché ha troppa paura della legge, poiché è stato accusato di cose che non ha commesso. Mio padre lo saluta e gli dice: «Io ti aspetto! Tutte le sere abbiamo un culto».
Una sera, mentre papà sta predicando, quest’uomo entra per una porta di dietro del locale e si siede per terra, vicino ai piedi di mio padre, con il fucile e la cartucciera sulla spalla. Come al solito, arriva sulla soglia della porta il brigadiere per ascoltare la predicazione. Lui tocca con la punta di un coltello la gamba di mio padre e papà gli mette la mano sulla testa assicurandolo di stare calmo.
Il miracolo nella vita di quest’uomo.
Alla fine della predicazione, tutti s’inginocchiano per la preghiera. Quell’uomo incomincia a piangere e a lodare il Signore con la faccia a terra, mentre il fucile e la cartucciera si trovano sotto una sedia. Alla fine, mio padre e tanti altri lo abbracciano. Subito dopo, lui si dirige verso il brigadiere tendendo le mani per farsi arrestare, dicendo: «Sono qui, brigadiere!». Il brigadiere lo guarda stupefatto e gli chiede: «Ma tu veramente vuoi fare parte di questa chiesa?». Lui gli risponde: «Ho chiesto perdono a Dio e sono pronto a pagare per i miei errori». Il brigadiere gli mette la mano sulla spalla e gli dice di andarsene a casa con sua moglie e di andare a trovarlo in caserma l’indomani. Questi sono i miracoli che fa solo il grande Iddio!
L’uomo col coltello in mano.
Una sera, mentre si tiene il culto e mio padre sta predicando, si presenta un uomo sulla soglia della porta con un coltello in mano, minacciando mio padre. Tutti i fratelli si alzano per fermarlo, ma mio padre dice loro di ritornare ai loro posti, perché non c’è niente di cui avere paura. Dice: «In questo culto c’è la presenza del Signore. Lasciatelo! Non farà male a nessuno!». Quell’uomo continua con le sue minacce e mio padre continua a predicare.
Dopo pochi minuti, gli cade il coltello dalle mani e lui cade sulle sue ginocchia, chiedendo perdono a tutti e a Dio. Da così il cuore a Gesù e si converte. Questa è potenza di Dio!
L’Evangelo di Cristo parla di una “nuova nascita” e molti non riescono a capirne il significato, ma è proprio così. Quest’uomo e tanti altri uomini e donne sono “nati di nuovo” nel paese di Africo, ascoltando la predicazione dell’Evangelo, per la bocca di un “ignorante falegname con la terza classe”: Umberto Bonfà.
Nel 1951 mio padre emigra in Canada e, se ricordo bene, il fratello Leo Favasuli è rimasto come pastore della chiesa di Africo Vecchio. Tutt’oggi c’è una grande chiesa in Africo Nuovo, col pastore Palamara.
Questa chiesa di Africo Nuovo non si trova più sulle montagne dell’Aspromonte, ma giù vicino al mare, perché nel settembre del 1951 una grande alluvione l’ha distrutta.
Anche in questo “atto di Dio”, il Signore ha usato la forza della natura per portare via da quelle perdute montagne dell’Aspromonte un popolo che aveva sofferto per centenni la povertà, la fame, le ingiustizie e il dominio di una religione che li teneva nell’ignoranza delle cose di Dio con falsi miracoli.
L’Evangelo ha portato un cambiamento di vita, una nuova conoscenza del vero Iddio, e per Africo si sono aperte le porte a un futuro mai creduto prima in quell’Aspromonte.
La gloria va tutta a Dio che usa chi Lui vuole, come vuole e a Suo tempo. Egli muove le montagne, calma i venti e i mari.
Inizia un incontro di preghiera a Montreal.
Mio padre, arrivando in Canada (Montreal) ha cercato con tutte le sue forze di evangelizzare il popolo italiano con le chiese Pentecostali Italiane del Canada. Nel 1953 ha organizzato un gruppo in una casa di una famiglia evangelica.
Una domenica, mentre tutti sono in ginocchio a pregare, d’un colpo si apre la porta e tre poliziotti, vedendoli in ginocchio, si scusano, dicendo: «C’è stato segnalato che in questa casa c’è un incontro di gente poco raccomandabile, ma scusateci, vediamo che qui si sta pregando Iddio».
Il secondo episodio è uguale a quello dell’uomo col coltello di Africo. Un’altra domenica si presenta un uomo con un coltello ma, aprendo la porta, li trova in ginocchio che pregano. Un fratello lo avvicina, chiedendo il perché di quell’azione, mentre gli altri continuano a pregare. Quell’uomo rimane fermo senza parole e alla fine getta il coltello per terra, chiedendo perdono a tutti e dichiarando che gli avevano detto che in quella casa c’era un circolo di prostituzione e lui era venuto per uccidere sua moglie. Quel giorno anche lui si converte al Signore.
Mio padre negli anni ‘66/’67, diviene pastore della chiesa di “Niagara Falls”, Ontario.
Devo con dolore dire che mio padre è stato combattuto tutta la sua vita per la sua fede nel Signore.
Egli è rimasto sempre fedele al suo Signore. A quel Signore del miracolo nelle montagne dell’Aspromonte, di Africo.
Mio padre è deceduto a Montreal il 7 ottobre 1984. Ha sempre portato nel suo cuore il ricordo di quella lunga e faticosa giornata su quelle montagne, dove Iddio nel Suo grande amore l’ha mandato a evangelizzare un popolo. Questa è stata la fede dei nostri padri, questa è stata la fede di mio padre: Umberto Bonfà. A Dio sia tutta la gloria.
In memoria di mio padre, suo figlio Vincenzo Bonfà (2009).